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Cagliari, l’analisi del lunedì

Massimo Rastelli, allenatore del Cagliari

Massimo Rastelli, allenatore del Cagliari

In un pomeriggio pienamente primaverile il Cagliari strappava un punto alla Lazio, affievolendone le ambizioni di Champions League e ridimensionandola dal ruolo di “big”. Una bella cornice di pubblico, una giornata perfetta per giocare a calcio, due squadre che hanno onorato tutto ciò solo dopo oltre un’ora di sbadigli.

PROMESSE DISATTESE – “Palla a terra e circolazione rapida”, prometteva Massimo Rastelli alla vigilia. Di queste intenzioni non si è vista nemmeno l’ombra: qualche lancio di Tachtsidis, un paio di cross (maldestri) di Murru e addirittura verticalizzazioni di Pisacane. Se il tecnico campano voleva fare pretattica, l’obiettivo può dirsi raggiunto, come quello dichiarato di tenere la porta inviolata. Un pimpante e fumoso (con poco arrosto) Farias rinvigoriva l’attacco al posto di un Sau spento e mortificato dal deserto che lo circondava, col brasiliano che aveva molto più spazio grazie ad una Lazio sfilacciata e sbilanciata.




L’ATTEGGIAMENTO – Contro una Lazio pur forte e temibile, ma decisamente non in palla, il Cagliari decideva di rimanere rintanato, sganciandosi in ripartenza solo nel’ultimo quarto di partita, sfruttando la stanchezza e il nervosismo di un avversario obbligato a vincere. Lo faceva però con pochi uomini a sostegno e altrettante idee, finendo per rimpiangere e domandarsi se il massimo sia stato profuso al fine di vincere.

PAURE E FANTASMI – Come detto a più riprese, di questi tempi non è semplice analizzare quel che avviene attorno al progetto tecnico a tinte rossoblù, somigliante ad una montagna russa più che ad un treno che viaggia a velocità di crociera forte di idee e programmi. Non si capisce, per esempio, perché una squadra estremamente tranquilla dal punto di vista della classifica debba avere tanta paura di giocare e perdere una partita. “Perché ne ha perse già molte, anche con roboanti passivi!”, si dirà, ma questa considerazione non fa che acuire il tenore del quesito.

COS’E’ IL CAGLIARI? – L’impressione è che l’assenza di una tangibile identità di gioco e di precisi connotati edificati in mesi di lavoro – problema esistente già dalla cavalcata cadetta – abbia reso fragile un gruppo (e il suo allenatore), consci così di rischiare tanto ogni qual volta si concede qualcosa allo spettacolo e all’offensivismo. Cosa che ormai non succede più da tempo, preferendo centrocampo folto e linee raccolte, uniche punte e atteggiamenti guardinghi. Tutto alla luce del sole, o quasi, e di questo va dato merito ad un tecnico che non ha paura di difendere il suo credo. Uomo solo al comando, che poco fa per essere simpatico o ingraziarsi un’opinione pubblica da tempo col fucile puntato. Quanto sia ancora sostenibile l’atmosfera è tema attuale e che presto troverà risposta, intanto ormai i nodi sono venuti al pettine: il Cagliari di Rastelli è ben definito nel suo non essere definito, fatto di cambi di formazione e di moduli, di atteggiamenti e umori, fino alle parole di sorta.

LE DICHIARAZIONI – “Il nostro allenatore viene criticato perché non è uno showman”, diceva il presidente Tommaso Giulini in uno dei momenti più critici del girone d’andata. “Deve fare punti e non spettacolo”, sostengono coloro i quali apprezzano Rastelli. “Vogliamo vedere calcio, soprattutto ora che non abbiamo patemi”, rilanciano i detrattori che sognano un successore. Nel mirino, con Rastelli, ci sono le sue sortite davanti ai microfoni, tra squadre (avversarie) di altri pianeti e squadra (la sua) sopravvalutata, fino alla rinuncia alle due punte e quell’equilibrio difensivo assunto come prioritario. Rastelli divide, la situazione non è sanabile e la società – che a parte risposte di circostanza e melina non ha ancora preso una posizione chiara sul futuro – deve decidere se si possa continuare o meno con questo andazzo. Sulla bilancia ci saranno la promozione in carrozza in Serie B con una squadra fuori categoria, una salvezza con larghissimo anticipo, rovesci rumorosi, brillanti vittorie, episodi fortunati (ma nel calcio sono fondamentali), poco spettacolo e tanti infortuni, non più catalogabili alla voce casualità sfortunata. L’atmosfera resta elettrica, i punti di domanda numerosi, le partite che mancano alla resa dei conti sono nove.

Mattia Marzeddu




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