Lode a te Daniele Conti, come è bello invecchiare
Possiamo anche scomodarla la retorica quando è funzionale a descrivere perfettamente la realtà. E allora diciamolo: il vino più invecchia e più è buono. Perché la più granitica delle colonne rossoblù, onorata da quattro anni della fascia di capitano, prima di diventare ambrosia altro non era che una bottiglia di pessimo beaujolais.
Io Daniele Conti me lo ricordo quando ventunenne, ventiduenne, ventitreenne raccoglieva fischi e insulti da parte di una tifoseria che non ne poteva più (e a ragione) della sua lentezza, dei suoi errori, della sua poca incisività. Gli anni bui della Serie B, un carattere ruvido e spigoloso, una posizione in campo sbagliata, il posto da titolare perso a vantaggio del più navigato Brambilla.
La nascita dell’infinito Daniele cominciò proprio in quella stagione, quella della risalita verso l’empireo, da riserva del metronomo brianzolo. Scattò qualcosa, la testa concertò finalmente con i piedi e allora gli sberleffi e gli sbuffi iniziarono a trasformarsi irreversibilmente in crisi di astinenza e panico quando si annunciava la sua assenza o quando non lo si vedeva percorrere il tunnel che dagli spogliatoi sfocia verso il rettangolo di gioco.
Sbocciò quell’anno il regista del futuro, l’uomo dalle mille battaglie, lo spauracchio della Roma, lo “spizzicatore” letale contro il Napoli. Lentamente morì “il figlio di Bruno” e nacque “il sardo di Nettuno”. Non ha mai avuto l’onore di vestire la maglia azzurra anche perché giocatori con meno talento e scorza gli sono passati davanti per motivi ignoti. Non è un fenomeno, non lo è mai stato, ma è forse qualcosa di altro, di inesauribile, qualcosa che trascende i consueti parametri e splende nella sua unicità. E’ il prodotto della fatica, del sudore, dell’intelligenza che raggiunge e supera il campione dalla dote innata. E’ la dimostrazione che l’infinito si può fermare, toccare, ammirare.
Daniele Conti fa parte di quella schiera di giocatori che non smetteranno mai di stupire. Ieri contro il Torino ha giocato una partita mediocre eppure è stato in grado di segnare una doppietta su punizione, salvare la panchina di Lopez ed evitare che il Cagliari piombasse nel baratro. Come un vero capitano. Insostituibile trascinatore. Passano gli anni e crescono il valore dell’uomo e l’orgoglio di un popolo che sa affezionarsi in maniera unica al forestiero che non tradisce mai i legami e le attese. L’unica nota dolente è che morto un Conti difficilmente se ne farà un altro. O forse sì?
Matteo Sechi