Dinamo Sassari, con un Lawal così si può sognare. Ma se la tripla non entra son dolori…

Shane Lawal, pivot della Dinamo Sassari (foto Sardegnasport)

Shane Lawal, pivot della Dinamo Sassari (foto Sardegnasport)

Una vittoria in casa della penultima in classifica, agli occhi dei più superficiali, potrebbe apparire come una pura e semplice formalità. Invece il successo della Dinamo Sassari sul campo della Consultinvest Pesaro è tutt’altro che scontato e banale. In primis, perchè i marchigiani erano (e forse rimangono) una delle formazioni più in palla del momento, con tre vittorie (di cui due consecutive) nelle ultime sei giornate di campionato. E in secondo luogo perchè i due punti, che permettono di agganciare la Grissin Bon Reggio Emilia al terzo posto, sono arrivati in una serata pressochè disastrosa al tiro pesante, con solo 5 bombe mandate a referto su 24 tentativi. Tre mesi fa, una partita di questo genere, la Dinamo l’avrebbe senz’altro persa. E’ stato lo stesso Meo Sacchetti, in conferenza stampa, a invocare il fantasma della gara di Capo d’Orlando, quando i biancoblù, in difficoltà da dietro l’arco, continuarono a sparacchiare senza costrutto anzichè andare alla ricerca di soluzioni alternative.

E in effetti, a Pesaro, qualche passo in avanti sotto questo punto di vista si è visto. Nonostante lo 0/10 da tre, all’intervallo lungo i biancoblù erano comunque in partita grazie a qualche penetra e scarica di Dyson, all’impagabile lavoro oscuro di Jeff Brooks e, soprattutto, al dominio nel pitturato di Shane Lawal, che contro un avversario degno di nota come Wally Judge, ha fornito una prova da 23 punti e 16 rimbalzi che lo consegna di diritto tra i migliori “5″ di questo campionato. Sono lontani i tempi in cui il nigeriano veniva accolto con scetticismo da una piazza che, probabilmente, si aspettava l’ingaggio di un nome altisonante (magari l’omonimo Gani, ex Roma e Milano). Dopo le delusioni dei primissimi mesi di stagione, dovute, chissà, anche allo scarso appeal con l’ex compagno di reparto Todic, Lawal è diventato inarrestabile, e, pur con qualche ingenuità (il fallo nei secondi finali della sfida di Bologna contro la Virtus) rimane, per rendimento, il miglior biancoblù di questo 2014/2015. Fino a quando l’ex Verona – elemento povero di tecnica, ma fisicamente esplosivo – riuscirà a esprimersi a certi livelli di agonismo e intensità, il Banco potrà fregiarsi di un’arma di sicuro affidamento sotto le plance, che nulla ha da invidiare a colleghi ben più celebrati.

Fin qui, gli aspetti positivi. Tornando al match di Pesaro, però, un’altra riflessione è d’obbligo. Spesso chi gravita attorno all’ambiente Dinamo (giocatori e staff tecnico in primis) si irrigidisce quando si fa notare quanto, per il quintetto di Sacchetti, sia vitale trovare una buona giornata al tiro pesante per riuscire a vincere. Benchè, come detto, all’Adriatic Arena si sia ottenuto il successo nonostante il 20.8% da dietro l’arco, non si può scordare come il break decisivo per battere Pesaro (squadra, come detto, buona, anche grazie all’innesto in corsa di Chris Wright, ma non propriamente una candidata ai playoff) sia arrivato solo quando finalmente i biancoblù hanno trovato la misura giusta nelle bombe. Le triple (quattro, sulle cinque totali, sono entrate – fortunatamente per i biancoblù – nell’ultimo quarto) di Sanders e Dyson, e quella pesantissima di Logan in faccia al malcapitato Raspino, hanno letteralmente tolto le castagne dal fuoco. Altrimenti sarebbero stati dolori, anche perchè a pochi minuti dalla sirena la squadra di Paolini era sopra di 5 lunghezze e aveva pienamente in mano l’inerzia del match. Va poi considerato poi un altro fatto: anche la Consultinvest per metà partita non è riuscita a trovare un singolo canestro dai 6.75, e a fine partita ha chiuso con una percentuale solo di poco superiore a quella della Dinamo (21.4%). Cosa sarebbe successo se la Vuelle avesse trovato una giornata non buona, ma almeno “normale” al tiro da tre? Chissà, forse ora la Dinamo avrebbe un’altra “Capo d’Orlando”, per dirla con Sacchetti, su cui riflettere. Allora lo si può dire, una volta per tutte: nonostante il lavoro di uno staff che la vorrebbe quanto più multidimensionale possibile, questa Dinamo è ancora visceralmente dipendente dal tiro da tre punti, e senza di esso molto spesso è costretta a faticare anche contro avversarie meno quotate. Ammetterlo non è peccato.

Roberto Rubiu

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