Canottaggio – Stefano Oppo: “Non ho ancora raggiunto i miei obiettivi, adesso pensiamo a Rio”

Postato il 03 dic 2015
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Oppo canottaggio

Ci sono atleti, la cui voglia di emergere tratteggia le sagome di un campione. Stefano Oppo rientra nel novero di quei fuoriclasse che vedono il sacrificio come un mezzo per ottenere i risultati e non come un tormento da sopportare. Mai pago dei traguardi raggiunti, sembra quasi che il giorno che distribuivano la sete di vittoria, lui ne abbia fatto doppia razione.

Si è avvicinato al mondo del canottaggio seguendo le orme del fratello maggiore. Una curiosità che ha presto declinato in passione. Sublimando la forza di volontà con l’istinto per il successo poi, è arrivato quasi alla vetta. A 21 anni e con un palmares da far invidia ai più, solo una chiamata lo divide dai (meritati) giochi olimpici di Rio 2016.

Stefano, partiamo dalla fine. Se a questo punto della tua carriera ti guardassi alle spalle, pensando alle ore di allenamento e ai sacrifici fatti, quale stato d’animo prevarrebbe?

Gli stati d’animo sono contrastanti, c’è la soddisfazione per i traguardi raggiunti e, ripensando ai sacrifici fatti, posso dire che ne è valsa la pena. Ma riguardandomi indietro dico anche che non sono appagato, non sono ancora arrivato agli obiettivi che voglio raggiungere.

Ti sei avvicinato al mondo del canottaggio seguendo le orme di tuo fratello maggiore, con curiosità ma ancora inconsapevole delle soddisfazioni che questa disciplina ti avrebbe riservato:  c’è stato un momento in cui per la prima volta hai pensato “questa è la mia strada”?

Un crocevia importante è stato sicuramente quando, con la mia famiglia, presi la decisione di partire per potermi allenare meglio. Ero in terza superiore e non avevo ancora idea di cosa mi aspettasse. Se fossi rimasto in Sardegna avrei continuato ad allenarmi durante gli anni delle superiori ma, alla lunga, probabilmente non avrei trovato sbocchi.

Tu, come tanti ragazzi che condividono il tuo stesso obiettivo, sei stato quasi costretto a lasciare la Sardegna per poter fare il salto di qualità. A tuo avviso, quali sono le cause principali che frenano il movimento nell’isola?

Purtroppo mancano la mentalità e la preparazione per poter fare il salto di qualità in questa disciplina. E dico purtroppo perché le forze per migliorare ci sarebbero. Non è tanto una questione logistica: è vero, rispetto ad altre regioni non ci sono tanti laghi o bacini, ma diverse società in Italia si allenano sfruttando il mare.

Quindi, secondo te, c’è una “cultura del lavoro” che va ripensata?

E’ una domanda abbastanza complicata. Da una parte, secondo me, bisognerebbe lavorare sulla mentalità dei ragazzi affinché siano spinti a dare il massimo e a sacrificarsi durante ogni allenamento. In questo caso è determinante il ruolo degli allenatori: devono essere loro i primi a lavorare in questa direzione. Ma credo che questo discorso possa essere esteso a tutto il movimento sportivo.

Veniamo al primo grande traguardo della tua carriera. Plovdiv, Bulgaria: 18 agosto 2012. Ti laurei, insieme ai tuoi compagni, campione del mondo. In quel momento capisci che la tua carriera sta prendendo una svolta?

Quel momento è stato eccezionale. Fu una gara particolare che vincemmo per  un centesimo. Fu una grandissima emozione e un momento di riscatto. L’anno prima partecipai agli Europei, ma fui mandato a casa in occasione dei Mondiali, secondo me ingiustamente, quindi la gioia fu doppia. Quasi una rivincita.

Da quel momento la tua carriera subisce un’impennata. 7 partecipazioni ai campionati mondiali, condite da tre ori, un argento e un bronzo. Poi, nello scorso settembre, nelle acque di Aiguebelette, Francia, arriva forse la soddisfazione più grande.

La felicità è stata grande ma, allo stesso tempo, è stato un male. In quell’occasione infatti la barca conquistò il pass olimpico e ci qualificammo per la finale e forse, proprio a causa del rilassamento, non siamo riusciti a fare una grande gara in finale. Quindi mi resta ancora quel cruccio, perché avremmo potuto fare una gara migliore. Resta comunque la grande gioia per il traguardo raggiunto.

E’ facilmente intuibile che dietro a tutti questi successi ci siano diverse ore di allenamento, a maggior ragione ora che il countdown olimpico inizia a entrare nel vivo.

La preparazione è iniziata ad ottobre, ma la nostra partecipazione non è ancora certa. Abbiamo qualificato la barca ma i 4 uomini potrebbero cambiare: dipenderà da noi, dovremo vincere le gare in Italia per tenerci il posto. In questo momento poi siamo perennemente in raduno con la Nazionale, ci alleniamo mattina e sera tutti i giorni. Ogni tanto poi possiamo staccare la spina, come in questi giorni, e ne approfitto per tornare a Oristano.

Quante volte, nella tua mente, hai immaginato l’atmosfera di Rio durante i giochi olimpici?

Se devo essere sincero ci penso continuamente, la motivazione durante l’allenamento è quella nonostante ancora non ci sia l’assoluta certezza.

Per chiudere non ti chiedo il sogno – facilmente pronosticabile – ma le sensazioni che trasmette la consapevolezza di avere una città e un’isola che spingeranno per te: possiamo definirla una piacevole pressione?

Si fa molto piacere, anche perché in queste occasioni ci si accorge anche di quegli sportivi che, solitamente, non sono al centro dell’attenzione. Quindi è uno stimolo per fare ancora meglio

 

 

Stefano Sulis

 

 

 

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