Salvatore Fresi, ostinatamente libero

ESCLUSIVA – I ricordi di una carriera vincente, la Scuola Calcio, la Sardegna e le sue passioni

Salvatore Fresi ai tempi dell'inter (Foto: Getty Images)

Salvatore Fresi ai tempi dell’inter (Foto: Getty Images)

Pensate a un bambino che tira i primi calci ad un pallone in un campetto polveroso qualunque della Sardegna negli anni 80. Facile pensare che tra i suoi sogni, prima di andare a dormire, ci fosse quello di varcare il mare, diventare un professionista e vincere. Tra i pochi fortunati c’è, senza dubbio, Salvatore Fresi da Arzachena. Chissà se il padre, come tutti i padri calciofili del mondo, avrebbe mai immaginato che alla Smeralda qualcuno lo avrebbe notato e portato “in continente”: prima Trento, poi Firenze e infine Foggia. In questi primi anni lontano da casa Totò era determinato e consapevole di avere delle capacità interessanti e come ci racconta: “di certo la svolta è stata anche quella di credere fortemente in quello che facevo e capire che sarei dovuto migliorare sempre di più per emergere“.



L'Under 21 festeggia la vittoria dell'Europeo 1996

L’Under 21 festeggia la vittoria dell’Europeo 1996

Facile, direte voi, come se bastasse la determinazione. E infatti il suo fisico, i suoi piedi buoni e la sua classe lo aiutarono. Per questo non tardò a farsi notare e approdare a Salerno (città scritta nel suo destino) tra i professionisti in C1 nella stagione ’93-’94. Un anno memorabile: vittoria del campionato, conquista della B e convocazione in Under21. Con quella stessa selezione, nel 1996, vinse gli Europei in Spagna al fianco di Pagotto, Panucci, Cannavaro, Galante, Nesta, Ametrano, Brambilla, Tommasi, Amoruso e Totti (giusto per citare i titolari assieme a lui), “la base è quella che ha vinto i mondiali nel 2006”, sottolinea. Uno slinding doors: lui allora non c’era e, addirittura, appendeva gli scarpini al chiodo in quell’anno di montagne russe del calcio nostrano. Qualche problema con il procuratore Alessandro Moggi e una carriera terminata a soli 33 anni, mentre gli altri compagni dell’Under alzavano la Coppa al cielo di Berlino. Sarebbe potuta andare diversamente: “Se fossi rimasto a Bologna dopo aver disputato la stagione migliore della mia carriera, probabilmente avrei dato continuità al mio percorso e mi sarei guadagnato qualche altra chiamata in azzurro” dice candidamente.

Riavvolgendo il nastro della sua vincente carriera, i ricordi si fermano all’anno in cui sfiorò la promozione in A con la Salernitana che gli valse le attezioni e l’acquisto della società per la quale ha sempre tifato,  seguendo l’esempio del padre, che sborsò 7 miliardi di lire per assicurarsi le sue prestazioni. Un interista che finisce a giocare all’Inter! Qui siamo oltre il sogno. Non furono anni facili, però: giocatori straordinari in rosa e un continuo valzer di allenatori. Qui il difensore, per la precisione libero – ruolo che è andato progressivamente a sparire con l’introduzione della difesa a zona – vi rimase fino al 1998, stagione che culminò con la vittoria della Coppa Uefa giocata da titolare contro la Lazio nel 3-0 del Parco dei Principi (reti di Zamorano, Zanetti e Ronaldo). Da cuore nerazzurro che è rimasto, ricorda quegli anni con grande piacere. “Ho avuto la fortuna di giocare con grandi campioni, penso soprattutto a Ronaldo che mi capitava di frequentare anche fuori dal campo. Solo dopo tanto tempo, con la consapevolezza e la maturità ho capito cosa è stato giocare lì con quei compagni, mentre lo vivevo sembrava tutto normale e dovuto“. Ci racconta anche del bel rapporto che aveva con il patron Massimo Moratti: “Si ricordava persino dei miei compleanni e mi faceva i regali. Sono stato davvero bene, non mi ha mai fatto mancare nulla“.



L'Inter formato Coppa Uefa (Foto: Getty Images)

L’Inter formato Coppa Uefa (Foto: Getty)

La parentesi nerazzurra si chiude con un pizzico di rammarico perché è a causa della sua duttilità e dei piedi fin troppo buoni per un difensore, che Hodgson lo adatta da centrale di difesa a centrocampista basso, penalizzandolo sul piano delle prestazioni e della continuità, ritrovata poi a Bologna (stagione 2001-2002). All’ombra delle torri si ritrova al centro della difesa a tre e non è un caso che disputi la sua stagione migliore. La sua “modernità” non è stata un vantaggio a differenza di quanto si possa pensare: “Anche Gianfranco Zola me lo dice spesso: tu hai sbagliato epoca, dovevi nascere in questo periodo“. Con il folletto di Oliena (che definisce “il sardo più forte di tutti i tempi“) ha un bel rapporto nato tra le buche e le mazze da golf, passione contagiata da Alessandro Del Piero ai tempi della Juventus.

Ah già, perchè dopo il suo anno migliore in A, Fresi si lascia ammaliare dal richiamo della Vecchia Signora, con la quale collezionerà solo 9 presenze e una rete, vincendo però un campionato, due supercoppe italiane e raggiungendo una finale di Champions League. Bottino di tutto rispetto per la sua personale bacheca. “Il passaggio alla Juve? In realtà credo che nessuno si sia arrabbiato per questa decisione forse anche perché ho giocato poco, ad eccezione di mio padre: da grande interista non ha gradito molto (ride, nda)”.

Dal 2004 qualche parentesi tra Perugia, Catania (l’unica squadra con la quale non è riuscito a segnare) e Salernitana; a Battipaglia conclude la sua carriera nel 2006, salvo qualche sgambettata tra i dilettanti. Poi un periodo di rigetto nei confronti del calcio. Nausea mista a delusione per i problemi avuti con la Gea dopo il  cambio di procuratore. “Avevo bisogno di una pausa, pensare a me, dedicarmi al golf e alle mie attività”. Ma si sa, certi amori non finiscono e Fresi dopo qualche anno si ritrova ad aver a che fare con campi, scarpette e palloni, quelli dei piccoli che allena a Salerno. La sua attività si sviluppa come osservatore dell’Inter e nella gestione di una sua scuola calcio affiliata al club nerazzurro. Perché i bambini è presto detto. Nella nostra chiacchierata parlando della formazione Under 21 che nel 1996 vinse l’Europeo di categoria, viene naturale fare un parallelismo con l’attualità e la distanza appare siderale. Si è semplicemente chiuso un ciclo? “Potrebbe essersi chiuso un ciclo, certo, ma più che altro si è chiuso quello dei settori giovanili di tutta Italia. Le energie economiche vengono spese per le prime squadre e non si investe più nei bambini. Nascono tante scuole calcio, è vero, ma non si lavora nella giusta direzione. Ormai è più facile comprare all’estero che coltivare i nostri talenti, e lo si fa per le plusvalenze o per guadagni migliori“.

Salvatore Fresi impegnato in una lezione con i bambini

Salvatore Fresi con i bambini

Non sono le solite frasi scontate se pensiamo alla sua attuale attività che prima di tutto comporta la selezione di chi ha le capacità per andare avanti e poi la formazione dei ragazzi. “Non tutti possono arrivare a certi livelli, non è piacevole dirlo ad un genitore ma è la realtà dei fatti“. E per chi non lo accetta ci sono sempre i soldi per far giocare i propri figli, no? “Altro tasto dolente, questo. Non è raro sentire di genitori che pagano per far fare un provino al proprio figlio, niente di più sbagliato e io non transigo. In questa attività ci ho messo un po’ per raddrizzare certe situazioni e avere l’ambiente giusto, ma adesso inizio a divertirmi e vedere i frutti del mio lavoro. Sabato, solo per fare un esempio, non è previsto l’allenamento, ma c’era una giornata splendida e mi faceva piacere fare una lezione con i ragazzi“.



Salvatore Fresi e Gianfranco Zola impegnati sul campo da golf (Foto: Profilo Facebook Salvatore Fresi)

Salvatore Fresi e Gianfranco Zola impegnati sul campo da golf (Foto: Profilo Facebook Salvatore Fresi)

Per questo plaude al progetto Cagliari-Olbia, sul modello spagnolo e, anzi, pensa che andrebbe ulteriormente incrementato: “Il Cagliari, che rappresenta la realtà calcistica più importante dell’isola, dovrebbe essere legata a tutte le società, anche quelle minori per aiutarle nella selezione dei ragazzi, perché può rappresentare un trampolino di lancio importante“. E come accade alle varie Cagliari Academy, nella sua attività diventa fondamentale la formazione costante dei coach che lavorano con i bambini, perché “non ci si può improvvisare se si vuole crescere e ridare al paese un vivaio importante“.

Parlando dell’isola, delle sue radici, Fresi racconta di come certi legami con questa terra non possano spezzarsi, nonostante siano tanti anni che la sua vita professionale e privata lo abbia portato lontano. “Ho la famiglia ad Arzachena, vengo qui appena posso. Non torno dallo scorso 15 ottobre perché gli impegni e i collegamenti difficili con l’isola me lo impediscono ma a Natale devo assolutamente tornare. Anche se aver costruito una famiglia altrove ha spostato la mia base, la Sardegna resta uno dei posti più belli del mondo, l’unico in cui trovo la serenità per ricaricare le batterie e rimettermi a lavoro. Credo sia impossibile dimenticare il profumo che si sente quando ti dirigi a casa una volta sceso dall’aereo“.

Si definisce un calciatore atipico quando dice che il calcio d’oggi non lo segue tanto, Inter a parte e “soprattutto per non far brutte figure a lavoro” – scherza. Ma ogni tanto butta un occhio alla sua Sardegna del nord che vanta Arzachena e Olbia in Serie C: “Credo sia molto bello per tutta l’isola e per la Gallura in particolare aver raggiunto un simile traguardo. Vedo i risultati dell’Arzachena, soprattutto, e credo sia fantastico che siano arrivati in alto come mai prima d’ora. Spero riescano a rimanere in questa categoria: l’entusiasmo che ci stanno mettendo potrà aiutare“.

Chiudiamo la nostra piacevole chiacchierata con qualche domanda a bruciapelo.

Il compagno più forte? Ronaldo

Il compagno con il quale ha mantenuto il rapporto migliore? Fabio Galante

Chi vincerà lo scudetto quest’anno? Il Napoli, è la squadra che gioca meglio

Il gol più bello della sua carriera? Quello fatto contro la Roma (Stagione 1996/1997, assist di Djorkaeff, autore di una splendida rovesciata nella stessa partita, nda)

Il ricordo più bello? Te ne dico tre: La promozione in B, con la Salernitana, l’Europeo con l’Under 21 e la Coppa Uefa con l’Inter

L’allenatore a cui deve di più: Delio Rossi (conosciuto ai tempi della sorprendente Salernitana 1993/1994, nda)

Il rimpianto della sua carriera? Non ho un vero e proprio rimpianto, posso solo dire che sarei rimasto a Bologna per avere più spazio, e restare in una realtà più adatta a me

Ha un sogno? Io sono stato fortunato, ho avuto quello che ho voluto, adesso voglio solo vivere in serenità e salute con la mia famiglia

 

Ma sempre, e questo lo aggiungo io, in direzione ostinata e contraria.

 

Roberta Marongiu

 

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