Ma le scuse di Zeman non arriveranno mai

Zdenek Zeman, cerca ancora la prima vittoria casalinga con il Cagliari

Zdenek Zeman, cerca ancora la prima vittoria casalinga con il suo Cagliari. Arriverà contro il Napoli?

Più che uno stoico generale pronto a tutto per salvare la propria squadra, Zdenek Zeman sembra oggi un comandante di un’armata al disarmo intenzionato a preservare l’integrità del proprio personaggio. Facendosi forte di un privilegio di cui nessun altro allenatore di calcio si sogna di poter beneficiare (se arriva l’esonero è sempre una sconfitta della società è il sottotitolo che accompagna da sempre la carriera del boemo), Zeman dà l’impressione di essere concentrato nel tentativo di uscire indenne da una catastrofe sportiva, agevolato da una abilità dialettica innata nel gestire ritmi e stoccate e forte del ruolo d’incorruttibile uomo tutto d’un pezzo assegnatogli ormai da tempo dalla comunità calcistica. Non si spiegano altrimenti le ripetute frecciate lanciate nei confronti di chi ne ha gestito l’interregno (leggasi Gianfranco Zola), il cui vero bersaglio sembra essere colui che ne ha promosso il regicidio (leggasi Tommaso Giulini). Il mister ha più volte battuto il tasto sulla precaria condizione fisica del gruppo, asserendo che il suo calcio può raggiungere l’efficacia giusta solo se i giocatori hanno la gamba adatta a sostenere i ritmi necessari. Per di più, non si è fatto problemi a bocciare i tre innesti economicamente più onerosi compiuti a gennaio: M’Poku, Husbauer e Cop. Il messaggio mandato alla dirigenza sembra così essere chiaro: io, Zdenek Zeman, non posso avere colpe se non riusciremo a centrare la salvezza. E sbiadisce sempre più l’orizzonte di una sua conferma per la prossima stagione.

 

Commedia dell’arte a parte, però, la sua esperienza cagliaritana andrà inevitabilmente a far diminuire il numero degli ammiratori e a far ricredere i sostenitori della prima ora, noi compresi, perché i costi di gestione dell’apertura di Zemanlandia non li si può mai stimare da un semplice preventivo. Sarà pur vero che la squadra è in debito di ossigeno e ha paura della propria ombra, ma al di là del fatto che già nei primi tre mesi di campionato l’incostanza era stato il principale tratto distintivo del Cagliari, è proprio in una situazione grave e delicata come quella attuale che si testa l’incidenza di un bravo allenatore. Che senso ha, solo per avanzare un minimo appunto di natura tattica, insistere su un’applicazione dispendiosa dal punto di vista energetico quando il serbatoio è a riserva e in un modo nell’altro si deve comunque cercare di far arrivare la macchina al traguardo? Come non rendersi conto che così si va solo incontro a brutte figure in serie? Domande già poste tante volte in passato da altri e che mai avranno risposta dal breviario filosofico-religioso del mister boemo. Che un bravo allenatore forse non è, con buona pace della poesia e del romanticismo che ne alimentano il mito.

Estremo, arrembante e cartesiano nei piani. Ma anche impreparato, limitato e sovente sovrastato dai colleghi nell’attuazione della teoria. Colleghi che probabilmente nella settimana di preparazione alla partita contro i rossoblù hanno molti meno grattacapi, tanto prevedibile è diventato l’immutabile sistema di gioco brevettato sin dagli albori della sua carriera. Questo il responso del suo anno in Sardegna, purtroppo aderente a quel miscredente vaticinio che ne accompagna da sempre ogni nuova avventura, ma che non è mai riuscito a scalfire lo spessore di un personaggio di cui il circo del pallone italiano ha comunque estremo bisogno per equilibrare la bilancia dello show e nel quale il boemo si integra perfettamente. Testardamente convinto che la sua medicina sia buona per tutte le malattie, andranno a moltiplicarsi sempre più le attenuanti legate ad arbitraggi disattenti, sfortuna e giocatori che non fanno ciò che il maestro dice. Mentre c’è da credere che inaudite resteranno le scuse e l’ammissione di aver fatto anche solo un minuscolo errore. Del resto fa parte del copione che deve recitare il personaggio e in fondo è giusto così.

Matteo Sechi

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