Cagliari, un triste ritornello

L’analisi dopo la rovinosa sconfitta contro l’Inter

Daniele Dessena, capitano, e Bruno Alves, che ha indossato la fascia contro l'Inter (foto: Zuddas)

Daniele Dessena, capitano, e Ibarbo, tornato a gennaio dopo due anni (foto: Zuddas)

L’Inter doveva essere l’occasione per mettere la ciliegina sulla torta del Cagliari. Si auspicava un colpaccio contro una big, è arrivata a ciel sereno la terza cinquina casalinga al passivo, la quarta in totale, la sesta umiliazione nel gioco e nel punteggio, unita ad altri strafalcioni che costellano una stagione schizofrenica e difficilissima da giudicare, non da oggi.




CHE CAGLIARI È? – Il rendimento della truppa di Rastelli è complicato da decifrare sin dall’inizio dell’avventura del napoletano, fatta di picchi esaltanti e rovinose cadute, alternate perfettamente come se ci fosse un disegno atto a disorientare. Fu così nella cavalcata cadetta, idem in Serie A, con il cuscinetto della buona classifica ad ovattare ogni considerazione tecnica, tattica, ambientale, su chi occupa i vari posti in campo, in panchina e sulla scrivania.

“BOMBA” GABRIEL – I titoli a nove colonne sono per il disastroso Gabriel, giustamente e facilmente. Troppo imbarazzante la prova del portiere brasiliano per non essere rimarcata, e bisogna dire che l’antipasto c’era stato già a Crotone (dopo un buon debutto a Genova), oltre al fatto che proprio a pochi giorni da Cagliari-Inter ci eravamo interrogati sulla situazione portieri in casa rossoblù, ipotizzando un impiego dettato più da termini contrattuali che da recensioni positive maturate presso i tecnici. Ai vari interrogativi non ci sarà probabilmente mai risposta, se non di circostanza, i fatti diranno chi avrà avuto ragione.

ALTRO GIRO, ALTRA CORSA – Il focus della nuova domenica da incubo va messo sull’ennesimo cambio di sistema di gioco operato da Rastelli. Proprio quando ci si chiedeva – lo si è fatto anche alla vigilia – se il Cagliari potesse tornare alle due punte più il trequartista, magari con un playmaker classico à la Di Gennaro, Rastelli ha virato dal 4-4-2 (ed evoluzioni varie), che nel 2017 aveva permesso di limitare i danni in fatto di imbarcate e polemiche conseguenti, ad un 5-3-2 senza arte né parte, già bocciato dal primo tempo contro il Sassuolo. Era il 22 dicembre 2016, il Cagliari arrivò ad un passo dal baratro, poi i noti cambiamenti post-natalizi permisero di mettere sotto il tappeto tanta polvere.

Il tuffo di Gabriel sulla punizione di Banega (foto: Zuddas)

Il tuffo di Gabriel sulla punizione di Banega (foto: Zuddas)

IL GUSTO DI SPIAZZARE – Se l’unica punta (prevedibilmente Borriello, sempre esaltante, per Sau) con Joao Pedro (in evidente appannamento) era qualcosa di pronosticato, i dubbi riguardavano l’impiego o meno di Di Gennaro, in ballottaggio con il muscolare centrocampo visto di recente. L’abbondanza in mediana rendeva difficile la scelta, Rastelli ha optato per lasciare fuori capitan Dessena e Murru, inserendo Capuano e arretrando Isla e Padoin, con Ionita-Di Gennaro-Barella mediani di lotta e governo. Un nuovo rimescolamento che il tecnico ha difeso in nome del “tenere tutti sulla corda”ma che dà l’impressione di confusione e assenza di identità, purtroppo non nuove.




FRAGILITÀ E UMORALITÀ – Il Cagliari visto contro l’Inter non ha sbagliato l’atteggiamento iniziale, ha anzi giocato un primo tempo coriaceo, soprattutto in avvio e in chiusura, ribattendo colpo su colpo ed esaltando il “Sant’Elia”, riproponendo quelle prove casalinghe caratterizzate da tanta foga. Non ci si può stupire a marzo inoltrato, dopo due anni di cammino, se la creatura di Rastelli si rivela incapace di proporre calcio e contraddistinguersi per qualsivoglia credo, affidandosi invece alle folate dei singoli e dell’entusiasmo, in balia dell’episodio e dell’emotività, nel bene e nel male. Un appunto, tra gli altri: dopo le partite perse in modo così altisonante, la classica spiegazione fornita resta quella del “purtroppo al primo errore vieni punito”, quasi ad assolvere e minimizzare. Il ripetersi di tale scenario suona invece come un’aggravante, ricordando come in passato (vedi Crotone) solo la pochezza altrui avesse permesso di uscire addirittura vincitori da un match nel quale il Cagliari era stato messo alle corde.

TURBINIO DI SCELTE – I calciatori in campo cambiano vorticosamente, assieme alle mansioni loro affidate: da Padoin a Isla, passando per Pisacane, Capuano e Barella, sono in tanti ad aver ricoperto almeno tre ruoli durante la stagione. Rimanendo alla rigidità della carta, si è spaziato dal 4-3-1-2 al 3-5-2, in mezzo il 4-3-2-1, il 4-4-1-1, il 4-5-1 e il 4-2-3-1: si dice che variare sia sinonimo di duttilità e capacità di modellarsi in base ai fattori esterni, ma l’impressione è quella di un caos mica tanto organizzato, del quale le montagne russe di cui sopra sono logica conseguenza.

MERCATO INUTILE – Gabriel (auto)crocifisso alla terza partita. Faragò scomparso dopo un paio di allenamenti, infortunato. Miangue e Deiola mai presi in considerazione, buoni per fare numero in allenamento. Ibarbo in condizioni imbarazzanti (emblematico il goffo avvicinamento al pallone e conseguente ciabattata nel finale dell’ultima gara). E’ l’evoluzione del calciomercato di gennaio, al quale si unisce l’accantonamento di Salamon, ultimo difensore in gerarchia, e l’uso bizzarro di Capuano, protagonista del togli-metti che farebbe perdere l’orientamento anche alla più sofisticata bussola.

SCENARIO POCO ESALTANTE – Umoralità, assenza di punti di riferimento, uno spettacolo calcistico di modesta caratura sono i crismi di un Cagliari che da mesi naviga a vista, senza progettare nulla e prestando il fianco a momenti come quello (l’ennesimo dell’annata) vissuto in queste ore. Mettere ordine, sul campo e nella stanza dei bottoni, sarebbe doveroso non tanto per vivacchiare (oggi come l’anno prossimo) in un campionato italiano mediocre e ideale per chi non vuole rischiare ma nemmeno entusiasmare, bensì per restituire il piacere di guardare al rossoblù senza appassirsi in polemiche e dietrologie, parlando finalmente di calcio. Le dichiarazioni di circostanza, prima e dopo le partite, cianciando di “primo errore punito”, “purtroppo non siamo riusciti a…”, errori individuali”, “dobbiamo migliorare” e chi più ne ha più ne metta non servono veramente a nulla.

Fabio Frongia




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