A ‘Casa Cagliari’ Giulini regge un tempo, poi filosofeggia: “Non vinciamo nemmeno giocando male…”

rsz_rsz_giulini_cagliariNon solo la cornice di pubblico (peraltro non proprio da grandi numeri) presente al “Sant’Elia”. Come di consueto, tanti isolani sparpagliati per il globo hanno seguito le sorti del Cagliari davanti a uno schermo, chi in solitaria e chi in compagnia, più o meno cercata. A Milano, per fare un esempio, sin dal suo insediamento Tommaso Giulini ha affibbiato al locale “Bruschette e Michette” l’onere e l’onore di trasformarsi in “Casa Cagliari”, punto di ritrovo per gli aficionados rossoblù di stanza o di passaggio nella città meneghina. Non può perpetrarsi certo il sapore nostalgico dei circoli sardi che si animavano (oggi molto meno, purtroppo) davanti alla gesta dell’undici bandiera sportiva dell’Isola, ma l’esperimento di impiantare un’isola a quattro mori in Corso Sempione funziona e il modello è più che mai esportabile.

Casa CagliariPienone nel piccolo ma accogliente locale che a partire da mezzogiorno si colma in ogni ordine di posto. Il presidente arriva poco dopo le 12 in scooter con il più piccolo dei tre figli, munito di casco rossoblù d’ordinanza, per raggiungere consorte e restante prole. Un presidente in mezzo ai tifosi. Un vertice che plana alla base. La regia televisiva scorre le prime immagini e le formazioni. Giocano Joao Pedro e Pinilla, qualche commento poco lusinghiero. La tensione sale gradatamente, a stemperarla i malloreddus e l’Ichnusa che affiorano e affollano i tavolini e lasciano in vetrina le pur invitanti birre artigianali in dote al locale. Ritardatari, passanti, non prenotati: la sala si riempie, tutti in cerca dei primi 90′ minuti vittoriosi del Cagliari tra le mura amiche. Si disquisisce della mancanza di almeno un altro vero attaccante da schierare al fianco di Sau. C’è anche chi vorrebbe un Longo più presente e chi propone, per accontentarlo, un arretramento di Cossu sulla linea dei centrocampisti. A fare da cornice ai commensali banchettanti, l’allestimento dei simboli rossoblù: magliette, divise, gadget, giornali. L’altare è pronto.

Al gol di Farias applausi e grida che suppliscono alle sofferenze e agli ansimi dell’avvio. Si aprono subito forum tattici che esaltano la mentalità di questo nuovo Cagliari, capace di scendere in campo solo per cercare la vittoria. E via ad esaltare il furetto brasiliano e ad enumerare i vari prodotti di fattura zemaniana che spopolano per il mondo. Si nominano i più recenti, Verratti e Immobile, ma c’è anche chi la sa più lunga e si spinge, temerario, a citare Nesta e Totti. Poi è un discorrere di Foggia, atteggiamento e corsa. Manca ancora più di un’ora di gioco, la vittoria agli occhi di chi segue è già stata derubricata a pura formalità. Intanto però il Genoa prende coraggio e campo, la squadra del boemo barcolla e in pochi si accorgono che probabilmente quello sceso in campo a digiuno è il peggiore – Roma a parte – Cagliari visto in stagione. Con la pancia satolla e un primo tempo da virtuali tre punti si va al riposo soddisfatti tra sigaretta di rito e tappi di bottiglie che concedono altro nettare. Chi veramente, però, la sa più lunga a passo svelto dribbla gli avventori e abbandona la compagnia. Forse troppo nervoso, Tommaso Giulini scompare speditamente nel traffico.

Facce scure, un silenzio sepolcrale e gli insulti che lo interrompono susseguono al fortunoso pareggio del Grifone. Carne viva, fuoco sacro: il tifoso che si articola in tutta la sua incoerenzacasa cagliari 2 e ingratitudine. E’ un moto irresistibile, un’oscillazione repentina: finiscono i sorrisi, spazio alla depressione inframmezzata da qualche lumicino di speranza esternata con blandi incoraggiamenti ogni qual volta la palla sembrerebbe essere intenzionata a rimbalzare dalle parti di Perin. Poi le montagne russe d’improvviso: l’urlo abortito e l’imprecazione strozzata dal palo colpito da Conti, l’angoscia rabbiosa per il liscio di Farias, il boato finale per il fallo di Sturaro sul Capitano. Si dimentica tutto il brutto masticato: il Cagliari è potenzialmente di nuovo in vantaggio. La potenza però Avelar la dimentica, così come la precisione: il parto della gioia fallisce e chi può metterci una pezza, e diventare il nuovo eroe della banda, si esibisce in un tap-in goffo e deturpante. No, Longo non sarà mai il nuovo Filippo Inzaghi. Di questo ne siamo certi. Resta da giocare una buona fetta di secondo tempo in superiorità numerica, ma poi Sau si stira e tra movimenti orizzontali di capo e singhiozzi sconsolati e triviali si scuote l’ultima bottiglia. Finita anche quella, è ora di andare.

Chi torna a salutare la comunità, invece, è il patron. Il secondo tempo l’ha visto da casa, in solitaria. Sorride, ma in una maniera che l’amarezza sprigionata è tanto veemente da travolgere chiunque nel raggio di dieci metri. Il “Sant’Elia” che ha contribuito a riaprire in tutti i suoi settori a tempo di record resta stregato e frequentato meno delle attese. “Non vinciamo nemmeno quando giochiamo male” ripete come un mantra per sbollire la delusione. La voglia di parlare però non c’è, quella di voler vincere è invece manifesta: pronuncia i nomi di Avelar e di Longo, ma non segue alcun commento. C’è chi prova a distrarlo invitandolo a debuttare in porta all’ultima di campionato e chi a ospitare un concerto di Vasco Rossi allo stadio; ribatte che “magari non Vasco, ma a qualcosa stiamo pensando per l’estate”. Purché non siano i Maurilios di Cellino, va tutto bene. Convenevoli, foto, strette di mano. “Casa Cagliari” si svuota e si dà appuntamento tra due settimane. “Pazienza” dice Giulini mentre si allontana dopo aver salutato amici e tifosi. Guadagna casco e scooter e fila via. Pazienza, sì. Resta la sensazione di aver fatto parte di un’agguerrita e coesa enclave rossoblù in quel di Milano e quella, ancora più benefica, di assistere a un progetto serio che prevede di andare molto lontano. Pazienza, ma solo per adesso. I risultati arriveranno. Arriveranno.

Matteo Sechi

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