Per oggi guardiamo il dito

Il nostro commento dopo il fortunato e fondamentale successo del Cagliari a Benevento

Leonardo Pavoletti in azione con la maglia del Cagliari (foto: Gianluca Zuddas)

Leonardo Pavoletti in azione con la maglia del Cagliari (foto: Gianluca Zuddas)

Il minimo e il massimo. La pochezza di idee da una parte, l’orgasmo totale dall’altra, quella finale di un Benevento-Cagliari totalmente illogico nel suo svolgimento. Questa la sintesi di una domenica che lascia ai sardi l’eredità più importante, cioè tre punti di importanza capitale nella corsa salvezza. A ridosso del novantesimo, però, i rossoblù erano morti e sepolti, e chissà che anche la posizione di Diego Lopez – esaltato, stremato, quasi commosso nel post-partita – non potesse vacillare.

Sì, perché Barella e compagni avevano sofferto per tutto il match l’intraprendenza del fanalino di coda sannita, squadra ben allenata e vogliosa di lasciare ancora il segno in questa stagione da condanna anticipata. Cagliari non pervenuto, se non per la marea di strafalcioni disseminati lungo il rettangolo verde del “Vigorito”, fino al pazzesco epilogo che ha capovolto il pomeriggio.



Viene così in soccorso la metafora della luna e del dito. Messo da parte il risultato (il dito), è innegabile come la squadra abbia offerto una delle prestazioni (luna) più disastrose dell’anno, forse degli ultimi anni. Il KO che stava maturando avrebbe aperto alla bufera, la rimonta permette di rinviare a chissà quando le molte, doverose analisi. Perché all’orizzonte ci sono altre battaglie da portare a casa per ottenere una salvezza vitale. Di allenatori e mercato sbagliati, di un progetto tecnico tutto da avviare quasi da zero, si parlerà forse a fine stagione. Oggi ci si può accontentare di guardare al dito, un domani si vedrà. Intanto la classifica sorride e occorre l’ultimo guizzo, da ottenere soprattutto in casa contro le tranquille Torino e Udinese, completando l’opera evitando di perdere in casa Hellas e tuffandosi nel resto del cammino.

Le difficoltà emerse a Benevento vengono da lontano e non sono una novità. Oltre all’altalena psicologica (difficile comprendere la discrepanza tra la prova contro la Lazio e quella di Benevento), il Cagliari, senza Cigarini, si conferma squadra incapace di impostare il gioco e gestirlo, sia quando deve recuperare sia quando deve fare la partita. A lasciare perplessi era stato anche l’atteggiamento di un gruppo chiamato a vincere, che ha invece ricalcato quello scialbo visto a Verona o Reggio Emilia. Di buono rimane la compattezza di un gruppo che non ha mai sbracato, fino al colpaccio. Al di là della vittoria, le pochissime note liete del weekend hanno le sembianze della freddezza di Barella dal dischetto, dei due gol, della spizzata di Miangue (male in difesa), della voglia di Ceter quando è stato inserito alla disperata, dopo che anche Han (rinnovo fino al 2023 per lui) era stato coinvolto nel marasma improduttivo. Il resto è stato confusione, affanno, disorganizzazione, un continuo sbagliare e correre all’indietro, ringraziando la Dea Bendata. Si è vinto, va bene così.

Fabio Frongia



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